Oltre, e contestualmente, alla riforma del Sistema Regione - Autonomie locali sono necessarie le modifiche alla legge elettorale e ai criteri di ripartizione delle risorse
L’iter, per la
riforma del Sistema Regione – Autonomie locali, è stato avviato e speriamo che
giunga a compimento. Se non con soddisfazione di tutti, almeno con un’ampia e
diffusa condivisione, tra le varie componenti del Friuli Venezia Giulia. Bisogna
anche richiamare l’attenzione su due aspetti correlati alla riforma, così com’è
stata prefigurata nelle linee guida pubblicate dall’assessorato competente. Si
tratta della legge elettorale per le regionali e dei criteri di assegnazione
dei fondi alle Autonomie locali, che si adotteranno dopo - e meglio sarebbe con
- la riforma. E’ del tutto evidente che una modifica di tale portata, che si
prefigge di ridurre a due i livelli amministrativi e rendere più efficienti,
efficaci, equivalenti e sostenibili i servizi erogati, non può essere disgiunta
da un adeguamento della legge elettorale e dei criteri di ripartizione delle
risorse. Pena, il non raggiungimento degli obiettivi stessi per i quali è voluta
(e necessaria).
Le linee guida
prevedono il superamento delle province e la concentrazione di compiti e
risorse sulla regione e sui comuni, singoli e aggregati. Logica vuole che con
il superamento delle province siano modificati anche i collegi provinciali per
le elezioni regionali. Collegi che, per altro, avrebbero dovuto già essere
modificati per consentire un’adeguata rappresentanza a tutti i territori
omogenei di questa regione, che non corrispondono alle attuali circoscrizioni
provinciali. In pratica bisognerà far corrispondere i collegi elettorali per le
regionali agli “aggregati di comuni” che si andranno a individuare, in modo che
ciascuna “comunità omogenea” abbia l’effettiva possibilità di eleggere un
proprio consigliere regionale. Impregiudicata la possibilità di candidare e
votare consiglieri di qualsiasi orientamento politico; autoctono o esterno, i
collegi compatti e omogenei, corrispondenti al numero dei consiglieri da
eleggere (o poco meno), sono l’unico modo per avere un consiglio regionale
veramente rappresentativo della variegata (sotto molti profili) realtà
regionale.
Da questo punto di
vista, non costituisce un buon precedente, la norma per l’elezione indiretta (e
si spera transitoria) dei consigli provinciali, basata sul collegio unico. E non
mancheranno quanti vorranno adottare lo stesso criterio a livello regionale. I
macrocollegi plurinominali, sono il terreno preferito dalle segreterie
politiche, dalle oligarchie, dai potentati, dalle lobby, nonché il mezzo ideale
per pilotare le elezioni, rendendo minime le possibilità di scelta degli
elettori e aleatoria la rappresentanza territoriale. In estrema sintesi, il
collegio unico, per l’elezione del consiglio regionale, decreterebbe un
ulteriore depauperamento del territorio e il definitivo declino del
policentrismo, per concentrare la rappresentanza politica e, conseguentemente,
delle risorse, sugli aggregati egemoni, intorno a tre degli ex capoluoghi
provinciali e a Monfalcone.
Qualche segnale
meno inquietante giunge sul fronte dei trasferimenti delle risorse finanziarie ai
singoli comuni e loro aggregazioni. Sono previsti, infatti, anche delle assegnazioni
non vincolate. Con questa scelta si restituirà finalmente un poco di autonomia
alle … autonomie locali. Al contempo sarà limitata (speriamo estirpata) la
prassi centralistico-clientelare dell’assegnazione diretta regionale di fondi
per progetti, investimenti e contributi, di esclusiva pertinenza comunale o di
area omogenea e che, in queste sedi, possono e devono essere valutati.
Assumendo la responsabilità delle scelte di fronte ai cittadini interessati.
Resta il nodo
cardine delle modalità di ripartizione delle risorse tra le due centinaia di
municipalità e le due decine di aggregazioni, che dovrebbero risultare dopo le
“fusioni volontarie e le collaborazioni obbligatorie” tra i comuni. Questa è
l’occasione, imperdibile, per fissare criteri oggettivi, misurabili e
controllabili, che pongano tutti i cittadini e tutte le comunità sullo stesso
piano. Non è più tollerabile che i cittadini, ovunque residenti, paghino le
imposte con le stesse aliquote e poi abbiano un tasso di restituzione assai
variabile secondo il luogo dove vivono e operano. Per la ripartizione dovranno
contare solo parametri oggettivi e pertinenti quali: popolazione residente,
estensione territoriale, altitudine, imposte raccolte; da adottare
singolarmente o combinati tra di loro e pesati secondo la voce di spesa
considerata.
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