domenica 2 febbraio 2020





ARTICOLAZIONE E GOVERNO DEL TERRITORIO REGIONALE
“Vent’anni di solipsismo”

Ubaldo Muzzatti - Articolo 10 gennaio 2020

https://www.rilanciafriuli.it/

Autonomia e territorio 1

In estrema sintesi, essendo abbastanza noti dati e vicende, la Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia fu istituita, con Legge Costituzionale del 1963, riunendo i territori delle allora tre province, Gorizia, Trieste e Udine, poi divenute quattro con l’istituzione della provincia di Pordenone nel 1968. In pratica, la Regione ha mantenuto per 50 anni, sino al 2014, l’articolazione amministrativa territoriale italiana, basata sulle Province (4) e sui Comuni (219 all’origine). 



                      
                      All’inizio del ventunesimo secolo questi i dati essenziali dell’articolazione italiana
Articolazione e dati principali
Regioni/P.A.*
Province
Comuni
Italia
                                                      
21
110
8.092
1
Abitanti medi sul territorio           
2.893.000
552.381
7.509
60.762.000
Superficie media del territ.        Kmq.
14.350
2.740
37,2
301.340
Prov/Com. in media per Regione N°

5,5
405

Comuni in media per Provincia   


74

    

                                          e della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia:
Articolazione e dati principali
Comuni
Province
Regione FVG
                                                           
217
4
1
Abitanti medi sul territorio                
5.664
307.250
1.229.000
Superficie media del territorio         Kmq.
36,15
1.961
7.845
N° Comuni per Provincia:                                       Min. 6 (TS)  – Max 136 (UD) - Media 54

Si noti che per dimensione territoriale e popolazione la regione FVG e le sue province hanno/avevano consistenze pari a circa la metà di quelle dell’Italia intera. Solo i comuni hanno consistenze abbastanza simili seppure con popolazione inferiore. Per quanto riguarda, invece, organizzazione e prerogative i Comuni e le Province (fino alla soppressione del 2014, queste ultime) della Regione ricalcavano il modello italiano. A sua volta derivato dal modello “franco-napoleonico” ma con delle modifiche – peggiorative - introdotte dalla riforma Rattazzi del 1859 che ha accentuato, in Italia, il carattere centralistico delle Province, ovvero di organi periferici volti più al controllo che al governo e allo sviluppo del territorio. Senza contare che per la loro perimetrazione si badò più a criteri logistico-dimensionali che a quelli di omogeneità storico-culturale e socio-economica.

Per vari motivi, sin dall’istituzione, si avviarono proposte e tentativi di modifica dell’articolazione amministrativa della Regione. Questi, nel secolo scorso, portarono solamente al distacco del Friuli occidentale dalla provincia di Udine con l’istituzione della provincia di Pordenone; all’ avvio - con alterne vicende – dei Comprensori/Comunità montane e a una interessante esperienza di collaborazione volontaria tra comuni: il “Consorzio Comunità Collinare del Friuli”, costituitosi nel lontano 1967, tra 16 municipi, per l’esercizio in “comune” di alcune materie e prerogative proprie. Avrebbe potuto costituire un buon esempio per l’estensione a tutta la regione di un adeguato numero di aggregazioni territoriali compatte ed omogenee, ma così non è stato.

I tentativi di riformare complessivamente il sistema delle autonomie locali si concretizzarono (si fa per modo di dire) col nuovo secolo e con ben tre leggi succedutesi “ad excludendum” in meno di venti anni:

-   -L.R. 1/2006 “Principi e norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia.” Al tempo Illy era il presidente della regione e Iacop  l’assessore competente. La legge aveva come elemento caratterizzante la possibilità di istituire volontariamente gli Ambiti di Sviluppo Territoriale (Aster), incentivava le fusioni tra Comuni, non toccava le Province;

    -L.R. 26/2014 “Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel FVG. Ordinamento delle unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative”. Presidente Serracchiani/ assessore Panontin. È stata (per il tempo di una tornata elettorale) la legge delle “Uti” e della abolizione delle Province;

   -L.R. 71/2019 “Esercizio coordinato di funzioni e servizi tra gli enti locali del Friuli Venezia Giulia e istituzione degli Enti di decentramento regionale”. Presidente Fedriga, assessore Roberti. Legge vigente (in fase di applicazione?). Dovrebbe essere la legge dei “liberi Comuni” (di fondersi o aggregarsi se e come vogliono) e della reintroduzione surrettizia delle Province (Enti di decentramento).

Dunque sono state approvate dal Consiglio regionale ed entrate in vigore (temporaneamente) tre riforme complete delle autonomie locali in meno di venti anni. E pensare che il modello previgente è durato, con poche modifiche, per oltre duecento anni a cavallo di tre secoli, ha superato due guerre mondiali e le trasformazioni dello Stato italiano dalla monarchia rinascimentale alla Repubblica. 

Come è potuto accadere? Ogni tentativo di risposta non potrebbe che essere impietoso verso la politica locale e certificarne l’incapacità ad elaborare progetti strategici, di ampio respiro e lunga prospettiva. Limitiamoci a rilevare – e vale per tutti i tentativi fatti – che si è operato con metodo inadeguato e si è preteso di “inventare” da soli un “nuovo sistema” (solipsismo grave). Ignorando le molteplici esperienze dei modelli in essere e in evoluzione in tutto il mondo: il governo del territorio è un problema universale.
Ma ora, ci siamo Finalmente? L’ultima riforma – varata nel 2019 – verrà, al contrario delle due precedenti, applicata? Durerà, non duecento, ma almeno venti anni? Tutto può essere, ma basta uno sguardo ai sistemi territoriali in essere in Europa, traguardare le evoluzioni in corso – spinte dalle evoluzioni culturali, tecnologiche, organizzative, economiche – per un no inappellabile. Non può durare, non può essere questa la risposta alla domanda:

Quale articolazione amministrativa, come strutturata e con quali compiti per ciascun livello definito è in grado di assicurare, al meglio e in modo duraturo, tutti i servizi e le prerogative che sono attualmente (e prevedibilmente) in capo alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e alle amministrazioni per quali la Regione ha potere legislativo, di coordinamento e controllo?

* P.A.: Province autonome di trento e Bolzano, di fatto sono entrambe Enti legislativi di secondo livello

UNA LEZIONE DI POLITICA ECONOMICA TERRITORIALE
Tra vigne, meleti, spa e resort
Ubaldo Muzzatti  -  Articolo 30 gennaio 2020
Politica – Economia
Con l’ingegnere partivamo in auto al pomeriggio per essere
Vigneti a Caldaro (BZ) sullo sfondo il lago
su in serata e pienamente operativi il mattino dopo. Meta della trasferta l’Alto Adige, tra Caldaro e Appiano. Qui in mezzo alle vigne e ai meleti, tenuti che è una meraviglia, era insediata l’azienda per la quale stavamo lavorando in qualità di consulenti di organizzazione industriale. Si pernottava in un alberghetto che, ufficialmente, si fregiava di due sole stelle ma con struttura, confort e servizio di ottimo livello che in molte altre località non si trovano in hotel di prima categoria. Al mattino la colazione era un tripudio di delicatessen locali e fatte in casa. La scelta era smisurata, anche nei periodi di bassa stagione, quando io e l’ingegnere eravamo tra i pochi clienti. Naturalmente l’edificio e tutto l’arredamento erano tipicamente tirolesi. In mezzo a tanto legno, usato con sapienza, spiccava sul banco della reception il computer. Erano i tempi in cui questo device faceva le prime apparizioni nelle medie e grandi aziende industriali, mentre nelle piccole, nelle attività artigianali e commerciali, almeno da noi, era ancora un oggetto poco conosciuto.
Al mattino raggiungevamo lo stabilimento. Passando in mezzo ai vigneti vedevamo già i coltivatori all’opera. Durante la fase vegetativa della vite, in uno spiazzo lungo la strada, ove era posizionato l’apposito impianto, avveniva il riempimento delle cisterne irroratrici per i trattamenti. Sovraintendeva l’operazione un tecnico della direzione provinciale agricoltura. Tutti i coltivatori della zona affluivano con le botti trainate dal trattore, esibivano al tecnico provinciale un cartellino con i dati delle rispettive coltivazioni e, in base a questi, venivano riforniti della giusta quantità e tipologia di miscela pronta all’uso, non senza aver tarato l’impianto e gli ugelli di aspersione. Credo che molti si siano posti la domanda: “E’ possibile che tutti gli agricoltori sappiano scegliere, dosare e usare anticrittogamici, pesticidi, diserbanti, concimi e quant’altro? Non sarà che alcuni padroneggiano poco queste sostanze, con i rischi conseguenti per sé e soprattutto per i consumatori?”. Nella provincia autonoma di Bolzano hanno dato una risposta concreta, generalizzata e preventiva a questo dubbio.
Lo stabilimento era costituito da una costruzione in pannelli prefabbricati, come se ne vedono tanti nelle nostre zone industriali. Ben fatto e ben tenuto ma, in zona pedemontana, non lontano dal lago di Caldaro, in mezzo alle vigne, non lontano dai tipici insediamenti montani, non si può dire che fosse bello. Non di meno l’attività andava bene. Bisognava ampliare e a tal scopo era stata presentata domanda di concessione edilizia. Passavano i mesi e, a dispetto del noto efficientismo locale, il permesso a costruire non arrivava, nonostante ripetuti solleciti. Finché un giorno il titolare sbottando disse: “Venite con me, ho chiesto un incontro alla Direzione competente in Provincia”. Ci presentammo dunque negli uffici provinciali ed esponemmo il caso, prospettando l’esigenza di ampliare gli spazi produttivi; sottolineando i benefici occupazionali che ne sarebbero derivati. L’alto funzionario ci ascoltò con attenzione ma senza entusiasmo. Quando venne il suo turno, fermo e pacato, ci ricordò che la Provincia Autonoma di Bolzano aveva una precisa e consolidata politica economica di sviluppo basata su due filiere: quella agro alimentare e quella del turismo. Purtroppo il progetto presentato non rientrava in quelli individuati dalla politica di sviluppo del territorio. Da qui la mancata risposta e il probabile rigetto della domanda. “Per quel luogo – concluse sorridendo – presentate, invece, una domanda per la realizzazione di una spa, un resort, che ben si inseriscono nel contesto, e sarà evasa immediatamente”.
Son tornato di recente in Alto Adige, a Merano, in Val Venosta e in Val Passiria. Visti i centri termali, le spa in quasi tutti gli alberghi; visto lo straordinario meleto della Venosta; i masi e gli allevamenti della Passiria; le aziende lattiero casearie, si può star certi che la politica economica e di sviluppo di quel territorio si basa ancora sulle due filiere individuate e sostenute coerentemente dalla amministrazione provinciale.
Non è detto che altri territori, altre regioni possano / debbano individuare e sostenere quelle stesse filiere o solo quelle. Ma l’esempio citato prova che anche una regione, soprattutto se autonoma, può e deve individuare una politica economica / industriale e perseguirla con coerenza. Evitando di disperdere le poche risorse disponibili in mille rivoli e con continui cambi di rotta.
Le terme di Naturno (BZ)

domenica 23 febbraio 2014

LA REGIONE CHE VERRA’. LA CHIAMEREMO FRIULIA?


La Società Geografica Italiana, nello studio “Il riordino territoriale dell’Italia”, propone - tra l’altro – alcune nuove denominazioni per le 31 (o, in alternativa 36) regioni che dovrebbero prendere il posto delle 20 regioni e 110 province attuali. Per l’estrema regione del Nordest, propone la denominazione Friuli / Julia, lasciando inalterate dimensione e perimetrazione (salvo la possibilità di un ritorno del Portogruarese nella sua collocazione storica e geografica).
L’elisione della “Venezia”, che nella denominazione attuale, è collocata tra Friuli e Julia, dovrebbe trovare d’accordo sia i friulani sia i giuliani. I primi perché “il Friuli non è veneto” come ebbe a scrivere Pier Paolo Pasolini, ma anche Trieste e i triestini non hanno avuto relazioni tali da potersi definire veneziani. Quella “Venezia” è solo il lascito dell’invenzione letteraria (più che geopolitica) del glottologo goriziano Graziadio Isaia Ascoli.
D’altro canto, si può osservare che nel Friuli – derivato da Forum Julii – è già ricompresa tutta la gens Julia. E’ quindi incomprensibile, secondo alcuni, il motivo per cui a Trieste non si vogliano identificare come friulani e si pretenda l’aggiunta “Giulia” a ciò che è già “di Giulio”. Ma tant’è in questo campo prevale il viscerale al razionale. Perciò sarà difficile che la regione di Nordest possa chiamarsi in futuro semplicemente Friuli. La Società Geografica Italiana ne deve aver preso atto, proponendo Friuli / Julia che, togliendo Venezia da dove non ha motivo di essere, rappresenta pur sempre un passo avanti nella giusta direzione.

Di passi, però, se ne potrebbe fare un altro, senza ledere le sensibilità friulane e triestine, la regione, quale partizione politico-amministrativa dello stato italiano, si potrebbe chiamare Regione Autonoma Friulia. Con questa opzione, resta impregiudicato e, quindi, da risolvere il problema dell’articolazione interna alla regione stessa che, a parere di tutti, va rivista.  E resta da vedere con quali esiti.

venerdì 21 febbraio 2014

LA RIFORMA DELLE AUTONOMIE LOCALI IN FRIULI

 Come saranno disegnati gli "aggregati di comuni" che dovranno assumere l'onere di assicurare i servizi di "area media" nella regione autonoma Friuli Venezia Giulia?

Lo Spilimberghese sarà un "aggregato" autonomo?
Il dott. Mattioni qualche tempo fa e, in altra occasione il prof. Fabbro, hanno auspicato il raggruppamento dei Comuni in “dieci aree vaste regionali o aree omogenee”. Sulle “aggregazioni omogenee” sono pienamente d’accordo, chi avesse letto i miei interventi, molti sui quotidiani locali, sa bene il perché. Sul fatto che dovrebbero essere una decina nutro, invece, qualche dubbio. Non vorrei che il numero individuato, vanificasse immediatamente il criterio, giustissimo, dell’omogeneità. La Regione è complessa e varia da tutti i punti di vista: geo-orografico, socio-economico, storico-culturale. In questa situazione, individuare ambiti omogenei di tale consistenza, appare arduo. Avremmo, infatti, una media di 22 Comuni per “area omogenea” con una popolazione media residente di 120.000 abitanti.
     Credo che, una panoramica dei dati, rilevabili nei contesti che già hanno in essere le “aggregazioni di comuni” come ente di “area media” (la vasta, da noi, è la Regione stessa), possa giovare a orientarsi. La Regione autonoma Valle d’Aosta ha 8 Comunità montane, costituite mediamente da 9 Comuni, con una media di 16.000 residenti (per Comunità); la Provincia (di fatto Regione) autonoma di Trento, n. 16 Comunità di valle, media Comuni 14, media residenti 33.000; la Provincia (di fatto Regione) autonoma di Bolzano: n. 8 Comprensori, media Comuni 15, media residenti 64.000; il Canton Ticino in Svizzera: n.8 Distretti, media Comuni 17, media residenti 42.000; Il Land austriaco della Carinzia, 10 distretti (di cui 8 territoriali e 2 urbani: Klagenfurt e Villach), media Comuni 58, media residenti 56.000; il Land tedesco della Baviera, 96 Circondari (di cui 71 rurali e 25 Città extracircondariali), con una media di 131.000 residenti per Circondario.
     Non credo sia possibile (e utile) andare verso Aggregazioni d’area omogenea di dimensioni simili a quelle riscontrabili in Baviera né, dal lato opposto, a quelle della Valle d’Aosta. Mi sembra invece che per mettere insieme raggruppamenti sufficientemente capaci (da un verso) e condivisi (dall’altro) la consistenza demografica debba collocarsi tra quelle delle Province autonome di Trento (33.000 abitanti) e di Bolzano (64.000), ovvero della Carinzia (56.000). Ciò consentirebbe di individuare 4 aree urbane (monocomune, oppure conurbate, con l’assenso dei Comuni contigui) corrispondenti agli attuali capoluoghi di Provincia e una ventina di “aggregati territoriali” corrispondenti all’incirca ai Mandamenti che sono gli ambiti veramente omogenei e condivisi dalla popolazione.

     Va sottolineata l’imprescindibile esigenza di superare la pratica (e i privilegi) dei capoluoghi e di svincolarne il territorio, rendendolo amministrativamente autonomo dalle città. La prima e più profonda disomogeneità si registra proprio tra contesti urbani e rurali. Città e paesi hanno problematiche ed esigenze diverse. Il territorio deve essere amministrato da chi vi risiede e lo sente proprio. Solo in questo modo si potranno attenuare i danni provocati al territorio (calo demografico, abbandono, dissesto, …) e alle città (crescita caotica, traffico, inquinamento, incrementi dei prezzi di immobili e fitti, …). Chi volesse sincerarsene non ha che da confrontare le situazioni che si riscontrano nella nostra Regione, soprattutto in montagna, con i territori citati qui sopra (Valle d’Aosta, Trentino, …). Potrà vedere, per esempio, che il calo demografico che si registra in tutti i Comuni della montagna friulana, non ha riscontri in nessuno dei Comuni del Trentino – Alto Adige, nemmeno il più sperduto e il più lontano dalle mete turistiche. Lo stesso si può dire per la Carinzia e per tutta l’Austria.
O sarà "aggregato" al maniaghese?

mercoledì 19 febbraio 2014

LA REGIONE FRIULI / JULIA SECONDO LA SOCIETA' GEOGRAFICA ITALIANA

Ne “Il riordino Territoriale dell’Italia”, la Società Geografica Italiana rinomina “Friuli / Julia” una delle 31 o 36 regioni che, in base a uno studio multidisciplinare, propone di istituire per il superamento contestuale delle attuali regioni e province.

Sia nell’ipotesi a 31 che in quella a 36, la Regione Friuli / Julia rimane invariata entro i confini attuali. Cambiano le partizioni interne, secondo l’articolazione in Aree metropolitane, Polarità urbane e Comunità Territoriali proposte nello studio.

Lo studio e le proposte si possono condividere o meno, ma hanno il merito di portare degli elementi concreti e innovativi nel dibattito in corso per il riordino territoriale italiano. Si riporta integralmente il paragrafo riguardante la regione FVG.

Friuli / Julia Regione policentrica

Il mantenimento dell’estensione dell’attuale Regione è giustificato dalla posizione geografica, dall’esiguità demografica, dalla netta differenziazione interna, dalla presenza su tre dei quattro lati di chiari limiti sia naturali (il mare a sud) che politici (le repubbliche di Austria e di Slovenia rispettivamente a Nord e ad Est, con le quali non è prevedibile alcuna integrazione amministrativa transfrontaliera).

La morfologia e le vicende storiche hanno portato a una netta distinzione in due parti. Quella superiore, montana, con una ridotta popolazione (circa un ventesimo del totale regionale), è più vasta del distretto territoriale di Tolmezzo, inglobando le area comprese nelle Prealpi Carniche (oggi nella provincia pordenonese) e nelle Prealpi Giulie (al confine con la Slovenia), e mostra limitate capacità produttive e forte contrapposizione con il resto del territorio (in misura tale che se le vie di comunicazione lo consentissero potrebbe costituire l’estremità orientale della regione 11).

Quella inferiore, diffusa tra le colline, la piana e la fascia costiera, si delinea come un vasto corridoio – coincidente con l’area di collegamento tra il nord Italia e l’Europa centro orientale – al cui interno i sistemi locali si sono sviluppati con una forte apertura verso (ma anche dipendenza da) l’esterno, in particolare in direzione occidentale, verso le zone del Veneto, quindi Conegliano e Portogruaro.

L’elaborazione di un’amministrazione policentrica, centrata sui poli di Tolmezzo, Pordenone, Udine e Trieste trova ulteriore giustificazione nell’assenza di poli urbani trainanti (due sole città sopra i 100 mila abitanti, cui seguono quattro con popolazione compresa tra le 20 e le 50 mila unità), nella rete infrastrutturale interna – sviluppata prevalentemente nella sola parte inferiore – nei percorsi di sviluppo del secondo Novecento, nella nuova situazione geopolitica e – infine - nell’esigenza di superamento dell’anacronistica contrapposizione tra Friuli e Venezia Giulia.

Tra i problemi emersi si cita, per la Regione Friuli / Julia la possibile aggregazione del Portogruarese. (tratto da “Il Riordino Territoriale dell’Italia” a cura della SGI).


martedì 18 febbraio 2014

QUALE RIFORMA PER GLI ENTI LOCALI DEL FRIULI

Fusioni accentratrici, o federazioni paritetiche di comuni?
Sono già in atto le manovre per far rientrare l'impostazione centralistica delle province che si vanno a chiudere e mantenere i privilegi dei capoluoghi.
Un rischio mortale per il territorio policentrico friulano che deve essere scongiurato!

Il Municipio di Pordenone
Da quello che si legge in questi giorni sulle pagine dei quotidiani, si vorrebbe andare verso un’aggregazione dei cinque comuni del Pordenonese. C'è anche chi, gettando il cuore oltre il ... Noncello, vorrebbe la fusione dei municipi e la costituzione della "Città dei centomila abitanti". E auspica, addirittura, la costituzione di "Un polo di area vasta in rappresentanza di tutta la Destra Tagliamento". Facendo, in questo modo, rientrare dalla finestra ciò che dovrebbe uscire dalla porta, ovvero il centralismo delle province italiane che, sopratutto nella nostra regione, concentrando strutture, risorse e attenzioni nei capoluoghi, ha decretando il depauperamento del territorio e la mortificazione del tessuto policentrico della Regione basato su un equilibrato reticolo di cittadine, paesi e borghi.
In proposito, mi pare di poter dire che gli altri poli che si costituiranno nella Destra Tagliamento, presumibilmente Sacilese, Sanvitese, Spilimberghese, Maniaghese e, forse anche, Azzanese, non avranno bisogno di patronati e staranno in Regione con la stessa dignità e prerogative del Pordenonese. L'abolizione delle province deve significare il superamento della logica centralistica con la concentrazione delle risorse nei capoluoghi che, non a caso, saranno aboliti. La città dei centomila conterà per centomila e dovrà avere per centomila. E gli altri dovranno avere esattamente in proporzione alle loro popolazioni, territori, imposte pagate. Solo così si realizzano il dettato costituzionale e i principi di democrazia che vogliono tutti i cittadini e le comunità poste sullo stesso piano.
Se si andrà nella direzione preannunciata, senza distorsioni e infingimenti, le C.D. aggregazioni introdurranno, a livello delle amministrazioni locali, elementi di federalismo e di democrazia che per troppo tempo sono stati trascurati, con il risultato di creare cittadini di serie A nei capoluoghi e cittadini di serie B sul territorio. Non ci dovrà essere nessun ruolo di area vasta per la città, sia essa di 50 o 100 o 200 mila abitanti. Ci dovranno essere delle aree omogenee "sovrane" sulle materie di competenza, ma senza possibilità di prevaricazione sulle altre. A garanzia di questo equilibrio, ci dovrà essere una riforma della legge per le elezioni regionali, facendo coincidere i collegi elettorali con le costituende "Aggregazioni omogenee" in modo tale che ciascuna porti i propri rappresentanti in Regione e si evitino le distorsioni che abbiamo subito con i macrocollegi plurinominali su base provinciale che ha sempre sovra-rappresentato i capoluoghi e lasciato scoperti per decenni intere comunità (Lo Spilimberghese, per esempio, salvo l'ultima tornata).
Se con la riforma riusciremo a realizzare una regione policentrica, costituita da aggregati omogenei, posti rigorosamente sullo stesso piano - nei diritti e nei doveri, nel dare e nel ricevere - potremmo finalmente arginare il depauperamento territoriale e il declino delle, un tempo, floride cittadine e dei magnifici borghi che costituiscono il tessuto regionale. Senza nulla togliere alle città maggiori "ex capoluoghi" che potranno continuare a svilupparsi ed essere centri di attrazione per il territorio circostante in ragione delle capacità dei residenti e dei loro amministratori e non di ingiustificati sovra-finanziamenti erogati sino ad ora in ragione del loro essere "capoluoghi".
Le caratteristiche e le esigenze delle città sono diverse da quelle dei centri extraurbani, ma quelle di questi ultimi non sono meno importanti e meno onerosi di quelli urbani. Ciò che per decenni si è dato in più ai capoluoghi è stato sottratto al territorio e i guasti si vedono tutti, non solo in montagna, non solo nelle borgate, ma anche in pianura e anche in quelle che erano, e possono tornare a essere, fiorenti cittadine (Spilimbergo, Gemona, Codroipo, …). Le diversità di caratteristiche e quindi delle esigenze, anche amministrative, che si possono riscontrare (e non eliminare) nei paesi e nelle cittadine rispetto alle città medio - grandi, devono indurre a soppesare bene le scelte che si andranno a fare con la necessaria riforma.
Com’è noto (o dovrebbe esserlo a chi tratta questa materia) la Germania ha portato a termine tutta una serie di riforme che, per esempio, ha dimezzato i comuni, ma nessun Land ha modificato la netta distinzione tra Circondari urbani (coincidente con il solo comune della città) e i Circondari rurali che sono aggregazioni di comuni e costituiscono l'ente intermedio tra questi ultimi e i Lander. L'esperienza tedesca, austriaca e svizzera, ci insegna che i cittadini devono amministrare solo la città e che il territorio deve essere affidato a chi su di esso vive, opera e ne condivide le sorti. Pena il declino del territorio stesso, com’è puntualmente avvenuto in Italia e sopratutto nella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ove ha gravato per decenni il pluricentralismo di Stato, Regione e Province.
Per quanto sopra, la riforma deve prevedere la possibilità di volontaria fusione di due o più comuni e questo vale anche per i municipi sul Noncello. Tuttavia, contrariamente a quello che sostengono in molti, le fusioni sono auspicabili e praticabili tra entità omogenee e sono, invece, problematiche tra una città e i municipi contermini che si troverebbero a soccombere, cioè a diventare periferie. I cittadini dei paesi minori devono sapere che, dalla fusione in poi, prevarranno le logiche e gli interessi urbani che non sono gli stessi del territorio. Basti pensare alle diverse esigenze, in fatto di raccolta rifiuti e del ciclo integrato dell'acqua, che sono insite nelle diverse tipologie abitative ed economiche.
Resta aperta la possibilità delle aggregazioni di comuni che mettono a fattor comune buona parte dei servizi e delle risorse ma continuano ad esistere seppure snelliti di molto. Anche per questa evenienza i comuni intorno a Pordenone dovranno fare una scelta: seguire il modello trentino, ove i comuni contermini (due in quel caso) si sono aggregati con il capoluogo; oppure il modello altoatesino, dove i comuni rurali si sono aggregati tra di loro formando comprensori omogenei, ma non con Bolzano che resta comprensorio urbano monocomune, dimostrando di avere ben compreso la lezione austriaca, tedesca e svizzera.


PER UNA REGIONE FUTURA, EQUA E SOSTENIBILE

Oltre, e contestualmente, alla riforma del Sistema Regione - Autonomie locali sono necessarie le modifiche alla legge elettorale e ai criteri di ripartizione delle risorse

L’iter, per la riforma del Sistema Regione – Autonomie locali, è stato avviato e speriamo che giunga a compimento. Se non con soddisfazione di tutti, almeno con un’ampia e diffusa condivisione, tra le varie componenti del Friuli Venezia Giulia. Bisogna anche richiamare l’attenzione su due aspetti correlati alla riforma, così com’è stata prefigurata nelle linee guida pubblicate dall’assessorato competente. Si tratta della legge elettorale per le regionali e dei criteri di assegnazione dei fondi alle Autonomie locali, che si adotteranno dopo - e meglio sarebbe con - la riforma. E’ del tutto evidente che una modifica di tale portata, che si prefigge di ridurre a due i livelli amministrativi e rendere più efficienti, efficaci, equivalenti e sostenibili i servizi erogati, non può essere disgiunta da un adeguamento della legge elettorale e dei criteri di ripartizione delle risorse. Pena, il non raggiungimento degli obiettivi stessi per i quali è voluta (e necessaria).
Le linee guida prevedono il superamento delle province e la concentrazione di compiti e risorse sulla regione e sui comuni, singoli e aggregati. Logica vuole che con il superamento delle province siano modificati anche i collegi provinciali per le elezioni regionali. Collegi che, per altro, avrebbero dovuto già essere modificati per consentire un’adeguata rappresentanza a tutti i territori omogenei di questa regione, che non corrispondono alle attuali circoscrizioni provinciali. In pratica bisognerà far corrispondere i collegi elettorali per le regionali agli “aggregati di comuni” che si andranno a individuare, in modo che ciascuna “comunità omogenea” abbia l’effettiva possibilità di eleggere un proprio consigliere regionale. Impregiudicata la possibilità di candidare e votare consiglieri di qualsiasi orientamento politico; autoctono o esterno, i collegi compatti e omogenei, corrispondenti al numero dei consiglieri da eleggere (o poco meno), sono l’unico modo per avere un consiglio regionale veramente rappresentativo della variegata (sotto molti profili) realtà regionale.
Da questo punto di vista, non costituisce un buon precedente, la norma per l’elezione indiretta (e si spera transitoria) dei consigli provinciali, basata sul collegio unico. E non mancheranno quanti vorranno adottare lo stesso criterio a livello regionale. I macrocollegi plurinominali, sono il terreno preferito dalle segreterie politiche, dalle oligarchie, dai potentati, dalle lobby, nonché il mezzo ideale per pilotare le elezioni, rendendo minime le possibilità di scelta degli elettori e aleatoria la rappresentanza territoriale. In estrema sintesi, il collegio unico, per l’elezione del consiglio regionale, decreterebbe un ulteriore depauperamento del territorio e il definitivo declino del policentrismo, per concentrare la rappresentanza politica e, conseguentemente, delle risorse, sugli aggregati egemoni, intorno a tre degli ex capoluoghi provinciali e a Monfalcone.
Qualche segnale meno inquietante giunge sul fronte dei trasferimenti delle risorse finanziarie ai singoli comuni e loro aggregazioni. Sono previsti, infatti, anche delle assegnazioni non vincolate. Con questa scelta si restituirà finalmente un poco di autonomia alle … autonomie locali. Al contempo sarà limitata (speriamo estirpata) la prassi centralistico-clientelare dell’assegnazione diretta regionale di fondi per progetti, investimenti e contributi, di esclusiva pertinenza comunale o di area omogenea e che, in queste sedi, possono e devono essere valutati. Assumendo la responsabilità delle scelte di fronte ai cittadini interessati.
Resta il nodo cardine delle modalità di ripartizione delle risorse tra le due centinaia di municipalità e le due decine di aggregazioni, che dovrebbero risultare dopo le “fusioni volontarie e le collaborazioni obbligatorie” tra i comuni. Questa è l’occasione, imperdibile, per fissare criteri oggettivi, misurabili e controllabili, che pongano tutti i cittadini e tutte le comunità sullo stesso piano. Non è più tollerabile che i cittadini, ovunque residenti, paghino le imposte con le stesse aliquote e poi abbiano un tasso di restituzione assai variabile secondo il luogo dove vivono e operano. Per la ripartizione dovranno contare solo parametri oggettivi e pertinenti quali: popolazione residente, estensione territoriale, altitudine, imposte raccolte; da adottare singolarmente o combinati tra di loro e pesati secondo la voce di spesa considerata.